Totalitarisme inversé Chris Hedges, journaliste lauréat du prix Pulitzer pour le New York Times et auteur de plusieurs livres, a écrit un article percutant publié en anglais le 8 février 2010. Ce billet en est largement inspiré et en quelque sorte un compte rendu en français. L’article original de 12 pages est disponible sous le titre « Chris Hedges: Zero Point of Systemic Collapse ». Cet article est d’une importance capitale pour temps à venir. Il résume bien aussi mon analyse personnelle du déroulement des évènements passés, présents et surtout, futurs. Il mérite toute notre attention et puisqu’il est si bien écrit, ceci constituera principalement une traduction libre de l’auteur qui doit recevoir tous les mérites. Nous sommes à la veille d’un des moments les plus dangereux pour l’humanité. Chris Hedges écrit que son analyse se rapproche de l’analyse de nombreux anarchistes. La démocratie, un système idéalement conçu pour défier le statu quo, a été endommagé et dompté pour servir servilement le statu quo.
The Left-Right Political Spectrum Is Bogus It might be a division between social identities based on class or region or race or gender, but it is certainly not a clash between different ideas. The French Estates-General in 1789 (Isidore-Stanislaus Helman via Wikimedia Commons) Americans are more divided than ever by political ideology, as a recent Pew Research Center study makes clear. My prescription isn't civility or dialogue, which though admirable are boring and in this case evidently impossible. The arrangement of positions along the left-right axis—progressive to reactionary, or conservative to liberal, communist to fascist, socialist to capitalist, or Democrat to Republican—is conceptually confused, ideologically tendentious, and historically contingent. Transcending partisanship is going to require what seems beyond the capacities of either side: thinking about the left-right spectrum rather than from it. I'd say it's obvious that PHC is true, and that everyone knows it to be true. I'd say no one is so sure anymore.
The NYPD, now sponsored by Wall Street - Occupy Wall Street This article made possible by Salon Core members. “NYPD! NYPD! JP Morgan doesn’t give a f*ck about you!” That was the chant of a crowd of protesters during one of the tenser moments Wednesday evening as police tried to corral the occupiers of Wall Street and force them to stay in the confines of Liberty Square. As it turns out, that version of the rumor isn’t quite correct. Here’s what we know: JPMorgan gave a massive gift of $4.6 million to the New York City Police Foundation in the form of money, patrol car laptops, “security monitoring software,” and other tech resources. The police foundation is the private fundraising arm of the NYPD. “This gift is especially disturbing to us because it creates the appearance that there is an entrenched dynamic of the police protecting corporate interests rather than protecting the First Amendment rights of the people,” says Heidi Boghosian of the National Lawyers Guild, which has had legal observers posted at the major Occupy Wall Street marches.
ozio produttivo: La pulsione di morte della concorrenza Attira l’attenzione anche il carattere globale e universale di tale fenomeno. E' cominciato negli Usa. Nel 1997, nella città di West Paducah (Kentucky) un adolescente di 14 anni ha ucciso a spari, dopo l’orazione del mattino, tre compagni di scuola, e altri cinque sono rimasti feriti. In Europa, questi massacri nelle scuole sono stati interpretati dall’inizio, ancora nel contesto del tradizionale antiamericanismo, come una conseguenza del culto delle armi, del darwinismo sociale e della scarsa educazione sociale negli Usa. Naturalmente, il fenomeno delle mattanze nelle scuole non si può considerare in modo isolato. Se l’atto degli assassini furiosi armati è più comune delle speciali mattanze nelle scuole, entrambi i fenomeni sono a loro volta integrati al contesto più vasto di una cultura della violenza della società, che sta inondando il mondo intero nel corso della globalizzazione. Terrorismo suicida Auto-smarrimento Traduzione by lpz
The World According to Trump by Bernard-Henri Lévy PARIS – The word “trump,” according to the dictionary, is an alteration of the word triumph. And because Donald Trump, the US presidential candidate, appears likely to become the nominee of the Grand Old Party of Abraham Lincoln and Ronald Reagan, we owe it to ourselves to ask in what sense and for whom he represents a triumph. One thinks of a segment of the American population angered by the eight years of Barack Obama’s presidency, a group that is now feeling vengeful. The Contradictions of Chinese Capitalism Introducing PS On Point. One easily gets the sense, when trying to take seriously what little is known about the Trump platform, of a country turning in on itself, walling itself off, and ultimately impoverishing itself by chasing away the Chinese, Muslims, Mexicans, and others who have contributed to the vast melting pot that the most globalized country on the planet has alchemized, in Silicon Valley and elsewhere, into prodigious wealth. Support Project Syndicate’s mission
Nietzsche e i precursori del nazismo: una riflessione metodologica | Critica Impura Friedrich Nietzsche Di EZIO SAIA Nietzsche e i precursori del nazismo Mesi fa sul Web è stata a lungo dibattuta la questione sui rapporti fra la filosofia di Nietzsche è l’ideologia nazista a cui hanno partecipato, fra molti altri la signora Palazzotti, il signor Antonio Martone, la professoressa Tiziana Ferragina. Di solito si parla di questi rapporti in termini di influenza utilizzando così la concettualità verticale secondo il paradigma del “chi agisce su chi e di chi subisce da chi”. Come precursori del Nazismo sono stati indicati, saggisti, filosofi, romanzieri, poeti e musicisti come Wagner (e non solo per il suo feroce antisemitismo). La filosofia post illuminista Kant viene presentato come apoteosi di un illuminismo e di un pensiero critico volto a circoscrivere i confini delle possibilità del sapere certo: da una parte la conoscenza fondata, dall’altra le pericolose illusioni del dogmatico e contradditorio pensiero metafisico. La ragione demolitrice La doppia legge Nietzsche [1] H.
Raggi, Appendino e la società dei mediocri di PAOLO ERCOLANI La nostra è l’epoca in cui, per citare Paul Ricoeur, all’ipertrofia dei mezzi corrisponde un’atrofia dei fini. In cui la sfavillante opulenza informativa produce, all’atto pratico, una desolante indigenza conoscitiva. Sappiamo che dobbiamo andare, desideriamo ardentemente farlo, siamo programmati dalla grande industria culturale per muoverci in base ai dettami prestabiliti, ma non sappiamo per dove. Costretti al viaggio ma privati della capacità di concepire autonomamente una mèta. Sempre più è così nel nostro esistere quotidiano, ma da molto (troppo) tempo è così nell’agire politico. Naviganti senza una mèta Il teatrino mediatico appiattisce tutto sul “chi vince e chi perde”, senza denunciare il dato più clamoroso e significativo: nessuno, né chi vince né chi perde, ha vinto o perso sapendo dove andare. Per troppo tempo ci hanno raccontato la stupidaggine secondo cui conta il viaggio e non la meta. Mediocrazia Mediocrità Raggi e Appendino alla prova dei mediocri
La generazione fottuta. Sinistra, Movimento 5 stelle, populismo di PAOLO ERCOLANI Se fai parte di quelle persone che hanno visto entrare nelle Università, nelle case editrici, nei giornali e in generale nei posti dirigenziali le menti più inadeguate e improbabili. O se, non per forza in alternativa (ma magari in aggiunta), ti sei visto scavalcare nella scala sociale da persone non in ragione del merito, dalla deontologia professionale e neppure dalla passione per un lavoro che gli è piovuto sulla testa come un atto dovuto. Ebbene, se sei tutto questo, è molto facile che tu appartenga alla generazione fottuta. Che non è quella di cui parlava Gaber, la generazione «sconfitta», perché siamo su un piano ulteriore. La generazione fottuta La generazione che oggi ha più o meno fra i 35 e i 50 anni, infatti, è quella che molto spesso non ha potuto neppure giocarla, la sua partita. Inutile girarci intorno: se questo disastro è figlio di un intero sistema socio-culturale, è la Sinistra a portarne sulle spalle la responsabilità più grande. 1968 e 1989
Thoreau on Hard Work, the Myth of Productivity, and the True Measure of Meaningful Labor by Maria Popova “Those who work much do not work hard.” The Journal of Henry David Thoreau, 1837–1861 (public library) is the closest thing I have to a bible — I read it frequently and devotedly, always with great gratitude for the enduring wisdom that brings me closer to what I know to be true but so often forget. Indeed, Thoreau is among those rare luminaries whose ideas live on as resolutions of the most existential kind — be it his reflections on the creative benefits of keeping a diary or the spiritual rewards of walking or the only worthwhile definition of success. Recently, while listening to a conversation with the wise and wonderful Parker Palmer — a Thoreau for our time — I was reminded once more of a particularly insightful passage from the journal as Palmer lamented that “the tighter we cling to the norm of effectiveness, the smaller and smaller tasks we’re going to take on.” He does nothing with haste and drudgery, but as if he loved it. Donating = Loving Share on Tumblr
Lanier: il web sta uccidendo la classe media - PNR - presi nella rete - Blog - Repubblica.it Dal Venerdì in edicola BERKELEY. La stanza dove lavora è un antro platonico. Per arrivarci bisogna superare canyon di libri e oggetti per terra. Ma il massimo livello di entropia si raggiunge varcando la porta. Un grande computer su un lato e, subito dietro la sedia, una selva di strumenti musicali: chitarre di ogni genere ed epoca, mandole, sitar, arpe, tamburi, cembali, appoggiati o appesi al soffitto basso, insonorizzato con una gomma nera. La reazione immediata a questo atto d’accusa è una scrollata di spalle: è il progresso, bellezza! Quella che lui denuncia è la «frode contabile di massa» che fa finta che i social network, o i big data di cui tanto si parla, si producano per partenogenesi informatica. Dunque, a partire dall’industria musicale, Lanier allarga la rassegna. Prendete i traduttori. Ha fatto discutere Uber, l’applicazione per prenotare un’auto via cellulare. I proprietari dei computer più potenti si affermeranno come l’unica élite rimasta. Dati italiani scarseggiano.
Clicktivism is ruining leftist activism | Micah White | Opinion A battle is raging for the soul of activism. It is a struggle between digital activists, who have adopted the logic of the marketplace, and those organisers who vehemently oppose the marketisation of social change. At stake is the possibility of an emancipatory revolution in our lifetimes. The conflict can be traced back to 1997 when a quirky Berkeley, California-based software company known for its iconic flying toaster screensaver was purchased for $13.8m (£8.8m). The sale financially liberated the founders, a left-leaning husband-and-wife team. The trouble is that this model of activism uncritically embraces the ideology of marketing. Clicktivists utilise sophisticated email marketing software that brags of its "extensive tracking" including "opens, clicks, actions, sign-ups, unsubscribes, bounces and referrals, in total and by source". Gone is faith in the power of ideas, or the poetry of deeds, to enact social change.
Perché la politica ha bisogno di un’élite La spiegazione migliore della catastrofe del Movimento Cinque Stelle al Comune di Roma ce l’ha data quasi cent’anni fa il grande filosofo spagnolo José Ortega y Gasset. «È un errore madornale», scriveva Ortega nel 1922, saltare dal fallimento di un’élite alla conclusione che si possa fare del tutto a meno di qualsiasi élite, in virtù magari di «teorie politiche e storiche che presentano come ideale una società esente di aristocrazia». «Poiché questo è positivamente impossibile», concludeva il filosofo, «la nazione accelera la sua parabola di decadenza». L’ascesa del Movimento 5 stelle è il frutto della convinzione, condivisa da tanti nostri concittadini, che non una, ma almeno tre classi politiche abbiano fallito: i partitocrati, gli imprenditori e i tecnocrati. Si potrebbe discutere a lungo dell’entità di questi fallimenti, e ancor più di quanto equanimi siano stati gli italiani nel pronunciare il proprio verdetto. Che lezione dovremmo trarre da tutto questo? Alcuni diritti riservati.
What Fascism Really Is — And What It Isn't It seems everyone is a fascist these days. Doesn’t matter who, doesn’t matter why, they are fascists. We have all been stuck speaking with the self-proclaimed constitutional expert who finds everyone who disagrees with them to be worthy of the name. Of course, lots of people really were fascists once; and they killed millions. There really are fascists in the world today, in the interests of being able to identify them and properly draw attention to them we had best limit our use of the term to those persons. In his work “Fascism” British political theorist Roger Griffin declares fascism to be “a palingenetic form of populist ultra nationalism”. He goes on to state that without this element of rebirth or rejuvenation a movement is not fascism, but rather a look alike. He then goes on to list ten features of “generic” fascism. Fascism is Anti-Liberal: Fascists oppose pluralism, tolerance, individualism, democracy, the idea of natural rights, and the like.
Brian Eno: ‘We’ve been in decline for 40 years – Trump is a chance to rethink Brian Eno’s new album is called Reflection, and what better time to reflect on an astonishing career? Or careers. There’s the first incarnation of Eno as the leopardskin-shirted synth-twiddler who overshadowed the more obviously mannered Bryan Ferry in Roxy Music. With his shoulder-length hair and androgynous beauty, there was something otherworldly about Eno. He was as preposterous as he was cool. After two wonderfully adventurous albums he left and Roxy became more conventional. There is Eno the visionary, who helped conceive a 10,000-year clock and invented an influential pack of cards called Oblique Strategies that offer creative solutions for people in a pickle. We meet at his studio, near Notting Hill in west London. Eno, now 68, could not look more different from the louche glamour-puss of the early 70s. His assistant asks me to join Eno at his table. Eno talks slowly, calmly, eloquently. Did he ever think that was his destiny? “Take a break,” they echo. Ah, the collaborations.